Il falso nella cartamoneta: contraffazioni inaspettate

La frase-chiave de “La migliore offerta”, film del 2013 di Giuseppe Tornatore, ben si presta alle numerose falsificazioni che la cartamoneta ha subito nel corso della sua storia. Il protagonista del film, Virgil Oldman, è un ricco battitore d’aste, esperto d’arte e di falsi d’autore, che finisce per essere derubato della collezione di dipinti, raccolti durante tutta la sua vita.

Ebbene, la quasi totalità della cartamoneta ha subito falsificazioni. Come in una lotta tra virus e antivirus, i falsari hanno inseguito i fabbricatori di biglietti, nell’intento di avvicinarsi il più possibile all’autentico. Gli istituti di emissione e le officine, a loro volta, hanno dovuto perfezionare i biglietti per difendersi dalle contraffazioni più abili e raffinate.

Tuttavia, la più comune accezione di “falso”, ovvero riproduzione di un biglietto circolante, non rappresenta il solo risultato dell’ingegno dei truffatori. Gli esempi di emissioni abusive di biglietti autentici, di alterazione di esemplari emessi o di tagli parziali, persino dell’invenzione di cartamoneta, trovano riscontro in svariati contesti, spesso di emergenza. Analizziamone alcuni.

Fronte Bono da 2 scudi della Repubblica Romana falsificato per taglio e ricostruzione di porzioni lineari
Retro Bono da 2 scudi della Repubblica Romana falsificato per taglio e ricostruzione di porzioni lineari

Una delle più ingegnose forme di alterazione di biglietti circolanti ebbe luogo nel 1849, durante la Seconda Repubblica Romana. Il truffatore aveva bisogno di qualche biglietto autentico e un paio di forbici: il “trucco” consisteva nell’asportazione di una o due porzioni verticali di carta dello spessore di 1 cm circa. Le porzioni rimanenti venivano incollate l’un l’altra, nella convinzione che il biglietto, seppur mancante di piccola parte di carta, sarebbe stato ugualmente accettato in pagamento. In alcuni casi, la zona sottratta era rimpiazzata da una porzione falsa, abilmente ridisegnata.

Esemplare da 500 Banca Romana con firma di Bernardo Tanlongo

Rimaniamo a Roma, ci spostiamo di qualche decennio in avanti, con quello che è noto come “scandalo della Banca Romana”. Non si vuole analizzare l’accaduto nel dettaglio, ma l’evento ci dimostra come sia labile il confine tra vero e falso. La vicenda coinvolge personalità del mondo della politica e della finanza, con cui ben sapeva relazionarsi Bernardo Tanlongo, Governatore della Banca Romana, dal 1881, per oltre un decennio.

Egli pensò di poter gestire i fondi della Banca a suo piacimento, incluse le riserve di cartamoneta. Forte dell’appoggio di amici politici, che aveva conquistato grazie alla condivisione degli illeciti guadagni, commissionò all’azienda inglese Sanders la duplicazione delle banconote precedentemente realizzate dalla Bradbury Wilkinson. Tanlongo fornì alla Sanders cliché e carta originali, così che le banconote fossero identiche a quelle della prima serie. Mise in piedi una sorta di falsificazione “finanziaria”, realizzando biglietti originali nella forma, ma abusivi.

E’ curioso notare che dal processo, conclusosi senza alcuna condanna, Tanlongo uscì assolto, nonostante avesse confessato diversi reati.

Biglietto di fantasia, graficamente simile all’esemplare da 100 lire Barbetti con matrice.

Fu probabilmente assolta anche gran parte degli inventori di “biglietti di fantasia”, stampati a cavallo tra il XIX e il XX secolo, che somigliavano alle banconote circolanti, per colorazione e veste grafica. Differivano invece per i testi, che suscitano ilarità ancora oggi per il lettore, ma non di certo per il malcapitato di turno: “Banca dell’Amore”, “Banca della Felicità”, “Banca del Buonumore” erano solo alcune delle intestazioni utilizzate.

Il truffatore, consapevole dell’inganno, poteva contare su un diffuso analfabetismo, stimabile al 78% della popolazione nel 1861, con punte del 90% in alcune regioni del sud. L’inganno veniva scoperto soltanto quando l’esemplare giungeva tra le mani di chi sapeva leggere.

Ma perché i falsari preferivano riprodurre “biglietti di fantasia”? La risposta è contenuta tra pene previste per gli spacciatori di biglietti falsi. Così come riportato sui biglietti di fine ‘800, la legge puniva “col maximum dei lavori forzati” i fabbricatori e gli spacciatori di biglietti falsi, mentre per il “biglietto di fantasia” poteva sussistere perlopiù il reato di truffa, con una pena massima di 3 anni di reclusione.

Esemplare da 50 lire modificato 500 lire dell’occupazione americana in Italia

I falsari tuttavia, non hanno sfruttato soltanto le ingenuità della popolazione, ma anche la superficialità degli ideatori di banconote.

Con lo barco degli alleati in Italia, nel 1943, il Governo americano autorizzò l’emissione di cartamoneta rinominata “AM lire”. I formati erano due: 78×66 mm per gli esemplari da 1 a 10 lire, 154×66 mm per gli esemplari da 50 a 1000 lire. Ciascun taglio era caratterizzato da un retro comune e dalla stessa grafica al fronte, che si differenziava solo per la colorazione e il taglio, stampato in nero.

Risultava pertanto molto semplice modificare un biglietto emesso moltiplicandone per dieci il valore: alla capacità di aggiungere uno zero molto simile all’autentico, si unisce la ri-colorazione del fondo, più simile al “nuovo” taglio. La leggenda vuole che i biglietti “modificati” venissero dati in resto a militari americani omaggiati poco prima di qualche buon bicchiere di vino.

Esemplare da 5 lire Campo di Concentramento Prigionieri di Guerra n.91 (Avezzano

Ma le falsificazioni non sono sempre coincidono con il periodo di circolazione.

Nel 1975 comparvero numerosi buoni dei campi italiani per Prigionieri di Guerra durante la Seconda Guerra Mondiale, che per quasi un lustro vennero collezionati come autentici da appassionati di tutto il mondo, talvolta venduti in prestigiose aste internazionali.

Ebbene, per merito di un testardo appassionato, Gemino Mutti, fu possibile dimostrare che i “buoni” erano in realtà “falsi”, ovvero erano stati realizzati poco prima di essere immessi sul mercato. La dimostrazione consisteva nella semplice osservazione con lampada di Wood: tutti gli esemplari contenevano fluoro nella carta. Ebbene, il fluoro veniva inserito all’interno dell’impasto, per non far ingiallire la carta, solo dal 1952 circa, pressoché un decennio dopo il presunto periodo di circolazione dei buoni.

Riproduzione moderna dell’esemplare da 25 lire Biglietto di Stato del 23/03/1902

Il falso che non ti aspetti, tuttavia, è più recente di quanto potremmo immaginare. Esso deriva dalla diffusione del collezionismo di biglietti falsi d’epoca: in particolare gli esemplari più rari, ovvero meno falsificati durante la loro circolazione, raggiungono oggi quotazioni rilevanti, spesso pari a diverse centinaia di euro.

Alcuni moderni falsari si sono allora adoperati nella riproduzione di biglietti fuoricorso, spacciabili come “falsi d’epoca”. Gli esemplari, stampati con moderne tecnologie, riconoscibili da un occhio esperto, vengono antichizzati a mano, imitando dettagli di produzione, come la filigrana, e imperfezioni da circolazione, quali pieghe e sporco raccolto.

Con il falso del falso d’epoca si chiude questo breve percorso nel falso che non ti aspetti, spesso trascurato, nel quale si può nascondere qualcosa di vero, qualcosa di nuovo, qualcosa di autentico.

BIBLIOGRAFIA

AA.VV., 2013: Il Vero e il Falso – La moneta, la banconota la moneta elettronica e la Guardia di Finanza in Lombardia, Omnimedia Srl;

CRAPANZANO G., GIULIANINI E., 2010: La cartamoneta italiana Vol. II, Ed. Unificato;

GEMINO MUTTI, 1982: Il falso nella cartamoneta, Ed. La Numismatica Brescia;

CRAPANZANO G., GIULIANINI E., VENDEMIA G., 2018: La cartamoneta italiana Vol. I, XI edizione, ottobre 2018

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